Era il grido che si lanciava in situazioni di emergenza, in caso di incendio o naufragio: erano loro a cui doveva essere data la precedenza per salvarsi.
Oggi invece, in questa Italia in cui tutto va alla rovescia, sono proprio i più deboli a pagare per primi: ieri a Genova, nell'ennesima alluvione che colpisce il nostro Paese (primatista in Europa), sono morte 4 donne e 2 bambine.
Il clima sarà anche cambiato e le piogge sono diventate ormai un bombardamento in piena regola, ma anche noi ci abbiamo messo del nostro, sacrificando il territorio al cemento e causando così un grave dissesto idrogeologico. Abbiamo creduto di riuscire ad adattare la natura all'uomo, senza il rispetto dovuto.
E mentre l'Italia delle cricche e degli abusivismi sta lì a sognare ad occhi aperti le speculazioni sulle grandi opere, il Paese intero si risveglia travolto dall'incubo dei disastri, ormai divenuti una quotidianità.
E' il caso di ripensare tutto, di renderci conto delle mutazioni del clima e del rischio ambientale (dovuto ad anni di incuria) che incombe sempre più; di dare vita ad una serie politica di regolazione e cura del territorio: e allora prima dei megaponti, occupiamoci degli argini dei piccoli fiumi capaci di trasformarsi in tsunami, mettendo da parte condoni edilizi e sogni di vanagloria e dando invece priorità alla messa in sicurezza, al bene comune, alle donne e ai bambini.