Nessuno nega le grandi capacità intellettuali del filosofo Giovanni Gentile (nella foto), nè le sue opere e il valore della riforma della scuola italiana da lui attuata. Così come è vero che la sua uccisione presenta molte ombre. Però è anche da ricordare il ruolo che ebbe nel regime fascista e la sua adesione al "manifesto della razza" che diede poi il via alle leggi razziali in Italia. Ma soprattutto, non si comprende il perché ostinarsi nell'intitolazione a suo nome di un giardino pubblico di Varese, una scelta che finisce per spaccare la comunità, presa tra l'altro impuntandosi come ha voluto fare l'assessore del comune di Varese Stefano Clerici. Senza pensare poi all'offesa arrecata anche alla memoria di quei varesini morti a causa del fascismo e delle deportazioni seguite alle leggi razziali (come ad esempio Pino Foà, docente del classico negli anni '37 e '38, morto ad Auschwitz, e nella cui sala a lui intitolata, ironia della sorte, è stata celebrata la cerimonia per Gentile; oppure, come Calogero Marrone, direttore dell'Ufficio Anagrafe del Comune di Varese, morto a Dachau dove era stato deportato per aver distribuito carte d'identità in bianco a ebrei e antifascisti, e padre tra l'altro della consorte di Umberto Bossi).
Alla luce di tutto ciò, la sensazione è che più che un gesto di ricorrenza sia piuttosto un atto di arroganza. Così, uno schiaffo, un dispetto all'avversario: io ho vinto e comando e tu subisci.
Insomma, un atteggiamento davvero insensibile e puerile della giunta varesina, che non per niente si trova in condizioni imbarazzanti.
L'assessore Clerici farebbe meglio a occuparsi di ciò a cui è stato delegato, e a tralasciare le diatribe storiche, visto che oltretutto le sue versioni ancor più che revisioniste appaiono visionarie. E anche la giunta: si occupi dei problemi dei varesini e della loro città, che sono ben altri. A iniziare magari dal PGT, in alto mare da anni.