Le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta. La soluzione? Rendere più facili i licenziamenti. Sembra questa la convinzione del governo Monti, che in settimana incontrerà le parti sociali, e sicuramente uno degli argomenti discussi sul tavolo sarà l'abolizione dell'articolo 18. La decisione è giustificata dal fatto che "è una richiesta dell'Europa", poiché l'illegittimità del licenziamento viene ritenuta un'anomalia solo italiana, e quindi creerebbe timori alle aziende straniere che vogliono investire nel nostro Paese, oltre a bloccare sviluppo e nuove assunzioni a quelle nazionali.
Eppure... L'Europa ci ha anche richiesto liberalizzazioni (e quelle sì favorirebbero sviluppo e occupazione), ma ci siamo arenati di fronte a taxisti e farmacisti. Ed è stato un brutto segnale, tanto è vero che lo spread (sceso subito dopo l'insediamento di Mario Monti) è risalito subito. Oltretutto, i dati Ocse dimostrano che non è affatto vero che in Italia è più difficile licenziare.
Le correzioni da apportare al mondo del lavoro sembrano essere ben altre, come i nostri salari, che risultano essere più bassi del 32,3% rispetto alla media dell’Europa.
Una riforma del lavoro è comunque necessaria, soprattutto per ridurre la precarietà e creare nuovi ammortizzatori sociali (come ad esempio il salario minimo). L'orientamento generale sembra quello di andare verso una sorta di "contratto prevalente", e 3 sembrano essere le proposte su cui si dovrà decidere:
- la flexsecurity del senatore PD Pietro Ichino
- il "contratto unico" a protezione crescente degli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi
- il "contratto unico di inserimento formativo" firmato da un'ottantina di parlamentari democratici.
L'auspicio è che si decida per il meglio (in maniera equa) e al più presto, perché scoramento e disoccupazione sono ai livelli più alti da sempre.