L'ad della Fiat, che chiede sacrifici agli operai, tra stipendio, bonus e stock options può arrivare a guadagnare più di 100 milioni di euro all'anno (su cui tra l'altro viene pagata un'aliquota fiscale ben più bassa dell'Irpef dei lavoratori dipendenti). Forse adesso si capisce tutta questa smania di creare una NewCo da mandare in borsa, che in pratica non è che la produzione auto scorporata dal gruppo. Così l'azienda Fiat, che prima era quotata in Borsa con un SOLO titolo, adesso si ritrova con 2 titoli, pur mantenendo la stessa produzione di prima. Perché l'impressione è che non interessi incrementare la produzione di veicoli, quanto piuttosto quella delle azioni in Borsa: i bonus per Marchionne arrivano da là, non certo dalla vendita delle auto, che in Italia a dicembre ha registrato un calo del 21,7%.
Pomigliano era un luogo di fannulloni assenteisti ed imboscati, poi però anche a Mirafiori si impongono le stesse condizioni, e intanto i famosi investimenti annunciati ancora non si vedono. E viene reputato offensivo chiedere dettagli sul fantastico piano industriale di "Fabbrica Italia", perché "in nessun altro Paese del mondo si fanno dare i dettagli di un investimento". Ma ad essere offesa dovrebbe essere l'intelligenza degli italiani, perché in Germania l'offerta Fiat per Opel è stata respinta dopo che erano stati chiesti dettagli sulle future strategie. Mentre invece in Chrysler, negli Stati Uniti, i dipendenti (tramite i sindacati) hanno una partecipazione nel consiglio di amministrazione ed hanno in mano quote della società.
Per questi motivi, e per non vedere Fiat lasciare comunque il nostro Paese, occorrerebbe l'intervento del governo per ridiscutere in Parlamento proposte per regolarizzare accordi e relazioni sindacati-aziende nel nostro Paese, che vanno sicuramente rivisitati, ma con la supervisione della politica. Altrimenti, se l'esempio Fiat-Marchionne viene seguito, si rischia di entrare in una pericolosa anarchia.