Un'indagine di Confartigianato ha rilevato che in Veneto un imprenditore alla moda su quattro è cinese. Ed è davvero bizzarro che questo avvenga in un territorio governato dalla Lega, che qualche anno fa addirittura aveva chiesto barriere doganali per i prodotti cinesi. Certo, non ci sarebbe nulla da ridire: gli investimenti stranieri sono sempre i benvenuti. Il fatto è che però la stessa indagine ha riscontrato che "molto spesso i laboratori vengono fatti aprire a dei prestanome controllabili, in realtà la regia è gestita da altre persone sempre le stesse, tipo capi clan locali. I laboratori, una volta ottenuta la partita Iva, iniziano a lavorare notte e giorno per un anno e mezzo senza versare un euro di Iva. Questo perché non superando i due esercizi fiscali riescono a evitare i controlli". E in questo modo queste aziende possono permettersi costi bassissimi a fronte di rapidità nelle consegne e alta flessibilità, generando una concorrenza sleale a danno delle imprese locali, già colpite dalla crisi. C'è da dire che questa situazione non è limitata al solo Veneto (basti pensare a quello che accade a Prato) ed oltre ad essere figlia di scarsi controlli, gode anche di una certa complicità dei grandi gruppi, che in questo modo possono speculare senza bisogno di spostarsi in Estremo Oriente: la Cina ormai ce l'abbiamo in casa.