giovedì 28 ottobre 2010

Markionneting

La strategia industriale di Sergio Marchionne per rilanciare la Fiat: non produrre più in Italia. O continuare a farlo, ma rimodulando i turni ed i riposi degli operai (d'altra parte è indispensabile per il rilancio dell'azienda togliere 10 minuti di riposo in fabbriche dove è in vigore la cassa integrazione almeno 1 settimana al mese...).
Poi lasciamo stare che l'Italia fino ad oggi ha permesso a Fiat di sopravvivere, con gli incentivi, i fondi per la cassa integrazione, gli sgravi fiscali ed i contributi statali per aprire nuove fabbriche al Sud. E che il mercato auto nel nostro Paese sia rimasto sempre chiuso e bloccato proprio dalla lobby Fiat (basti pensare alla vicenda Alfa Romeo-Ford del 1986).
Ma d'altra parte Marchionne ha ammesso di essere un "metalmeccanico": non possiamo certo pretendere troppo da lui, e quindi non meravigliamoci se Fiat è l’unica delle grandi case automobilistiche a non aver in programma il lancio di nuovi modelli o restyling importanti (a meno che non si consideri il revival della "500" come un grande lancio produttivo). Per intenderci: sulle fasce medio alte, quelle che in questo momento fanno guadagnare, la Fiat è praticamente assente, e su quelle medio-piccole la concorrenza è agguerritissima. E come se non bastasse, la concorrenza di Fiat sta già lavorando a prototipi di auto ibride o elettriche. Ma a Pomigliano (come in altri stabilimenti) si continua a produrre le "Panda" a benzina. E non è un caso quindi, come lo stesso Amministratore Fiat ha ammesso, che in Italia 7 auto su 10 vendute siano straniere.
Meglio quindi produrre in Serbia e Polonia, a costi inferiori e chissenefrega della qualità. Oppure rilanciare la Chrysler negli USA, però con i soldi del governo americano (che magari sono stati inseriti a bilancio di quest'anno: così magari si spiega l'attivo rispetto al buco dello scorso anno) e con i Sindacati in consiglio di amministrazioni e proprietari di quote societarie grazie ai fondi pensione.
Tra tutte le reazioni contrarie (a parte Bonanni, che non può farlo dopo avere avallato l'accordo di Pomigliano) suscitate dall'uscita di Marchionne, ci sembra comunque degna di nota quella di Pierluigi Bersani: "Quale modello per fare le auto abbiamo in testa: la Cina e la Serbia o la Germania e la Francia? Ci vogliono regole universali, sul lavoro altrimenti diventiamo cinesi anche noi. Dobbiamo avere in testa l'Europa...".
Lo sviluppo e l'Europa, metalmeccanico Marchionne, non i dividendi.