Il dato Istat di oggi che fa registrare nel 2009 l'inflazione più bassa registrata negli ultimi cinquant'anni (0,8%), è un indice dell'avvio della tanto agognata ripresa o che è in atto un periodo di pericolosa recessione?
Bisogna tenere conto di diversi fattori contraddittori. Innanzitutto, nel "paniere" preso sotto esame dall'Istat, le spese per la casa, che nella realtà sui consumatori incidono per oltre il 27%, vengono calcolate al 10%: questo perché sono comprese le spese correnti per l'abitazione come il condominio o la manutenzione, ma non le spese per l'acquisto. Insomma, il mutuo non rientra nel novero delle voci considerate ai fini inflattivi: e si sa quanto le rate dei mutui incidano nella spesa della famiglia italiana.
La copertura delle rilevazioni, poi, come denunciano le associazioni dei consumatori, è stata diminuita a livello territoriale.
Affermare poi, come fa il ministro Scajola, che "il potere d'acquisto dei cittadini non è stato penalizzato, ed è anzi in molti casi aumentato" stride nettamente con vicende recenti, ad esempio, come quella di un bene primario come la pasta, o con i dati Ocse riguardanti le classifiche degli stipendi nei 30 paesi più industrializzati.
Oltretutto, ad una contrazione dei consumi (come è avvenuto nel 2009) di solito consegue quasi sempre un rallentamento del tasso di inflazione, causato proprio dalla diminuzione della domanda di beni e servizi da parte dei consumatori. E se a questo ci aggiungiamo la diminuzione della produzione interna e l'aumento della disoccupazione, gli scenari non sono certo ottimistici. Insomma, meglio tenere la guardia alta e, soprattutto, dare il via a riforme di carattere economico/sociale per rilanciare le imprese e tutelare le famiglie.