Il conflitto tra giustizia e politica (in particolare una certa parte) è sempre più aperto. Se da un canto l'accusa che viene rivolta alla magistratura è di operare per fini mirati e di essere politicizzata, dall'altro non si può certo negare che l'operato di questo governo nel campo della giustizia sia rivolto esclusivamente a salvare il premier dai suoi processi, avanzando leggi ad personam, l'ultima delle quali, il "processo breve", rischia di creare il caos nei tribunali e "uccidere" migliaia di processi in corso (oltre a quelli di Berlusconi).
Assistiamo così, in questi giorni in cui si celebra la cerimonia dell'anno giudiziario, ad una forte protesta dei magistrati, che, con indosso la toga e con in mano una copia della Costituzione, usciranno in massa per protesta quando prenderà la parola il rappresentante del governo.
Questo scontro non fa certo bene al Paese, e lascia il cittadino molto confuso: è davvero assurdo che i 2 poteri esecutivi dello Stato (Magistratura e Parlamento) abbiano questi contrasti, quando invece dovrebbero lavorare insieme per dare all'Italia giustizia certa e quelle riforme di cui abbiamo estremamente bisogno.
Ridurre i tempi dei processi (che qui in Italia sono davvero intollerabili: 156° posto, dietro il Gabon e la Guinea) è un ottimo proposito, ma farlo senza fornire i mezzi per attuarlo e con le modalità proposte dal governo significa solo bloccare la giustizia per fini personali.
A questo punto sono da apprezzare le parole del procuratore generale della Corte di cassazione, Vitaliano Esposito, nella sua relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, che ha chiesto la fine delle tensioni tra magistrati e politica ed ha aperto al processo breve, a condizione però che siano «adeguatamente potenziatele risorse umane e materiali».
Per operare una radicale riforma strutturale dei sistemi sostanziali e processuali, ha concluso Esposito, «occorre instaurare un dialogo franco e costruttivo fondato su un sentimento di comune appartenenza».