Ieri sera su RAI3 uno spettacolo di informazione televisiva di qualità.
La puntata di "Che tempo che fa" è stata condotta magistralmente dallo scrittore Roberto Saviano, autore del best-seller "Gomorra".
Sono state raccontate storie come quella di Ken Saro-Wiva, autore nigeriano impiccato a Lagos per la sua opposizione alle compagnie petrolifere; di Varlam Salamov, grande scrittore russo, 20 anni di gulag per avere scritto una poesia contro Stalin; o di Anna Politkovskaja, uccisa perché non c'era altro modo per fermare la sua testimonianza sulla guerra in Cecenia: tutti esempi di come la letteratura, la parola e l'informazione facciano paura al potere criminale.
Ma soprattutto, ieri sera abbiamo assistito a ciò che dovrebbe essere la televisione pubblica in quanto diffusore di cultura e informazione. Il programma con Saviano ha infatti rispettato in pieno quella che è la regola aurea del Servizio pubblico, formulata da John Reith: «Il broadcasting ha la responsabilità di portare nel numero più ampio possibile di case il meglio di ciò che è stato formulato in ogni area della conoscenza umana».
Un compito che il direttore di Rete Paolo Ruffini ha sempre svolto con cura, lanciando trasmissioni come appunto "Che tempo che fa" ma anche "Report" o "Ballarò". Una mission che ha dato i suoi frutti, con aumenti di ascolto e incrementi di inserzionisti pubblicitari.
Ma, siccome tutto ciò non è di gradimento al premier (proprietario della concorrenza), il Dott. Ruffini rischia di non essere confermato.
Certo, per il regime meglio giornalisti "scodinzolini" fedeli al padrone, o i direttori generali "sadomasi", che, per compiacere chi servono, penalizzano le aziende che dovrebbero invece ben amministrare.