Massimo D'Alema non ce l'ha fatta. Abbiamo tifato per lui, non in quanto democratici ma perché italiani. La sua nomina all'importante carica di Ministro degli Esteri Europeo (il cosiddetto «Mr. Pesc») avrebbe infatti ridato lustro al nostro Paese, la cui immagine da troppo tempo è offuscata, grazie anche a chi ci governa e rappresenta.
Ha avuto la meglio l'inglese Catherine Ashton (presidente permanente dell'UE sarà invece il premier belga Van Rompuy). Anzi, sarebbe meglio dire che ha vinto il mercanteggiamento politico: la nomina di lady Ashton (è una baronessa il neo-ministro degli Esteri) non è dovuta certo alle sue capacità (vista addirittura la scarsa esperienza in materia), ma ad una sorta di compensazione per il no a Tony Blair alla carica di Presidente. Ancora una volta, quindi, l'Unione Europea ha dimostrato, a dispetto del suo nome, di non essere affatto un organismo unito ed il Parlamento Europeo un luogo in cui si fanno gli interessi delle parti e dei singoli Paesi e non invece quelli comuni. L'unica cosa che unisce l'Europa è infatti la moneta. Ed è proprio un paradosso che il suo ministro degli Esteri sia una cittadina di una nazione che non ha adottato l'euro.
Così l'Europa perde una grande occasione per riguadagnare credibilità a livello internazionale: Blair Presidente e D'Alema Ministro degli Esteri avrebbero sicuramente rilanciato ruolo e credibilità del nostro continente nella leadership mondiale, dove contiamo sempre meno.
E buona parte di questo flop è dovuto anche all'area del PSE, che non ha saputo portare fino in fondo una candidatura sponsorizzata fin dall'inizio. Il capogruppo Schultz se la prende con il governo italiano, reo a suo dire di non aver fatto troppo attivismo. In realtà Schultz e l'area socialista devono avere il coraggio di guardarsi dentro e fare autocritica: non è un caso poi che il partito nazionale di Schultz abbia preso di recente una sonora batosta alle ultime elezioni nazionali in Germania.