La Cina è sempre più vicina. Anzi, ormai è in casa nostra. Prima le aziende italiane portavano il lavoro in Cina, adesso invece portano direttamente i lavoratori cinesi in Italia (costa ancora di meno: si evitano viaggi e trasporto delle merci).
Smettiamola, infatti, di prenderci in giro: se accadono vicende come queste di Casorate Sempione, la responsabilità è anche delle nostre aziende.
Laboratori industriali, dove si sfrutta manovalanza in nero ed a costi quasi a zero, esistono perché vi è una domanda.
Succede in Lombardia, ma anche a Prato o a Forlì, dove l'avidità dei grandi gruppi industriali italiani non solo origina un bieco sfruttamento, ma causa anche la chiusura delle piccole imprese artigiane italiane.
Intanto, qualcuno pensa ad una legge per la tutela del "Made in Italy": buoni propositi, nulla da eccepire, però, come ha dimostrato la trasmissione d'inchiesta "Report", se i grandi gruppi della moda forniscono ai laboratori clandestini cinesi (ma anche napoletani) i prodotti griffati da finalizzare, e questi vengono alla fine del ciclo regolarmente e correttamente etichettati, risulteranno anche "Made in Italy", ma tutto il lavoro nero rimarrà nell'ombra.
Oltretutto, le aziende che vengono scoperte a fare questi giochetti (sempre meno, visto che i controlli sono diminuiti), se la cavano al massimo con multe di un migliaio di euro (grazie ad un articolo del Decreto Sicurezza che prevede una riduzione delle sanzioni sul lavoro nero del 60%). Invece ci sarebbe necessità di pene più severe (in Francia, ad esempio, chi procura lavoro in nero si vede sospendere l'attività dell'azienda): queste sono le leggi che occorrono, di sostanza e non di facciata.