Passerà senz'altro l'accordo che la Fiat ha offerto per investire ancora a Pomigliano d'Arco. La Fiom è stato l'unico sindacato che si è rifiutato di firmare. Martedì 22 giugno si andrà al referendum tra i lavoratori, ma non ci sono dubbi sull'esito della votazione: in una delle zone più povere d'Italia sarà difficile dire no al lavoro.
Come dice Bersani, il punto importante era che Fiat continuasse ad investire in Italia, in quella zona, perché effettivamente sarebbe stato un disastro se avesse dismesso quello stabilimento.
Ma c'è il timore che da eccezione questa vicenda diventi la regola, vista la stasi del governo: con la sua mediazione e la buona volontà da parte di tutti sarebbe stato possibile raggiungere un accordo, sia sull'assenteismo che sulla flessibilità, senza sfiorare delicate questioni giuridiche. Quali il diritto di sciopero, che nel testo dell'accordo, viene messo in dubbio ed accostato alle cause di assenteismo.
Intendiamoci, come dice anche l'economista Tito Boeri, la Fiat non ha tutti i torti a pretendere garanzie: in passato nello stabilimento di Pomigliano si sono registrati picchi elevati di assenteismo oltre lo standard medio nazionale; in occasione, tra l'altro, di partite di calcio, tornate elettorali e altri eventi. Quindi nulla che aveva a che vedere con la diffusione di malattie fra le maestranze. Senza che ci fosse la possibilità di sanzionare questi comportamenti. E di questo, forte responsabilità deve essere addossata anche ai sindacati, anche alla stessa Fiom che oggi rifiuta l'accordo, che hanno protetto questi comportamenti invece degli interessi dell'azienda e del posto di lavoro di chi invece faceva il proprio dovere. Diritti e doveri devono essere bilanciati.
Per questo occorre che sia fatta al più presto una riforma seria delle regole che governano la contrattazione e le rappresentanze sindacali, per evitare che, in sede di contrattazione, il lavoro diventi in futuro merce di scambio o, peggio ancora, forma di ricatto.
Ma il governo ha altro da fare: legge contro le intercettazioni e riforma della giustizia. Il "capo" innanzitutto. Poi, forse, il Paese.