sabato 24 luglio 2010

Dove sta andando l'industria italiana?

La FIAT annuncia lo spostamento della produzione della nuova monovolume da Torino alla Serbia. Colpa dei sindacati, dice Marchionne. Sarà: però il governo serbo alla FIAT in cambio offre finanziamenti ed una serie di agevolazioni. E la sensazione è che Pomigliano fosse solo l'inizio di una strategia ben precisa.
E poi oggi c'è la globalizzazione: FIAT produce anche in Polonia, Stati Uniti. FIAT, il cui acronimo significa "Fabbrica italiana automobili Torino". Ma per la globalizzazione questo non conta.
Il fondatore della celebre industria "Riello" soleva dire che: "Il capitale di un'azienda sono gli uomini". Fondare una fabbrica una volta significava infatti dare corpo ai propri sogni, alle proprie aspirazioni. E portarla avanti con successo ti faceva sentire fiero e realizzato, con la consapevolezza che grazie al tuo progetto davi da mangiare a tante famiglie e ad altre vendevi qualità. Oggi, Marchionne, di fronte alle proteste ed alle perplessità di fronte alla decisione di delocalizzare la FIAT, risponde che la loro "mission" è vendere auto, il resto non conta. Le macchine prima degli uomini, il profitto prioritario alla valenza sociale.
C'è anche da dire che FIAT attraversa un momento difficile: non a caso Moody's ha messo sotto osservazione il debito del gruppo all'annuncio dello scorporo delle sue aziende.
D'altra parte, è l'intera industria italiana ad essere in difficoltà: la crisi dei consumi, la poca liquidità sono certamente fattori determinanti. Ma a questo si deve aggiungere una classe imprenditoriale non all'altezza. Basti pensare a ciò che è Confindustria (più un salotto-congrega che non un'associazione di categoria), al fatto che va avanti solo chi è inserito nelle varie "cricche", all'incapacità di vedere oltre il proprio naso ed al massimo nelle proprie tasche, all'assoluta mancanza di spirito di sacrificio che si traduce in un abnorme egoismo, alla smania di speculare invece che programmare investimenti mirati.
E come non bastasse, il governo attuale non solo non ha le competenze per risolvere i problemi che ci stanno portando al declino, ma è una delle prime cause. E anziché pensare alle sorti del Paese, sembra abbia più a cuore quelle delle aziende del premier. Ed è davvero paradossale che un ministero di importanza cruciale come quello dello sviluppo industriale sia tuttora vacante, senza nessuno a dirigerlo, e che ci siano volute le sferzanti parole del Presidente Napolitano per indurre Berlusconi a nominare a breve il nuovo ministro. "Ho dovuto prima cambiare il ministero", si è giustificato sciur "Ghe pensi mi". Fantastico: dopo Brancher, ministro senza deleghe, adesso abbiamo le deleghe senza il ministro! Tuttavia, l'eventuale nuova nomina non è detto che sia un fatto positivo: si parla infatti di Paolo Romani, dipendente di Berlusconi ai tempi in cui lavorava in Fininvest. Ma anche oggi, visto che di recente ha criticato la decisione della UE di anticipare l'ingresso di Sky sul digitale terrestre: una scelta che rappresenta un arricchimento dell'offerta televisiva e favorisce i consumatori italiani, ma non certo Mediaset, l'azienda del presidente del consiglio di cui proprio Romani non è la prima volta sembra fare i suoi interessi.
L'economia italiana si trova quindi in bilico, e se vuole salvarsi insieme al Paese deve seguire l'esortazione di un giovane imprenditore varesino in una lettera inviata a "VareseNews" e scritta davvero con il cuore: innanzitutto le redini devono essere prese in mano dalla generazione dei quarantenni, che devono bypassare la gerontocrazia che regna in Italia. Soprattutto se si tratta di "pensionati sfigati" aderenti in cricche e logge; poi bisogna aprirsi alla novità, alla diversità. E impegnarsi in prima persona per il futuro del proprio Paese, perché finalmente diventi normale, anche se questo significherà rinunciare a soldi e prestigio personale.