Analizzando gli eventi di Torino (al Lingotto) e di Venezia, oltre all'accantonamento di Bossi (relegato ormai a semplice icona), un cambiamento effettivamente c'è stato nella Lega del nuovo corso Maroni. A livello di immagine, infatti, la Lega ha cercato di farsi una sorta di "restyling", partendo dalla grafica e dagli slogan (rinnovando perfino la testata de "La Pravdania"). Non si è dato spazio quest'anno a simboli celtici e folcloristici (tipo l'ampolla del Po), e anche i suoi militanti non si sono presentati nella maniera pittoresca che aveva caratterizzato da sempre i raduni padani (e non a caso quest'anno è stato annullato il classico incontro di Pontida). Anche il linguaggio è meno duro e volgare. Insomma, la Lega ha provato a vestirsi e ad assumere un atteggiamento da "sciura" borghese. Ma a parte quello, notiamo che per quanto concerne i contenuti il livello è purtroppo ancora basso e confuso.
Non si parla di Padania, ma di "macroregione" (salvo poi rivendicare le autonomie delle piccole comunità); Roma è ancora ladrona, ed è identificata in Equitalia; il manifesto dei "12 progetti concreti" (generici e contradditori) ricorda vagamente la famosa lista dei "fatti in tempi certi" (che infatti non si fecero) lanciata a Pontida lo scorso anno. E oltre alla carenza di proposte, sembra assente ancora all'interno del movimento uno spirito democratico che porti al dibattito e all'autocritica, come hanno dimostrato le polemiche sorte al congresso di Varese in cui si è votato il nuovo segretario provinciale (candidato unico, come l'anno scorso). Insomma, a parte la novità (piuttosto grossa comunque) del cambio di leadership (anche se nei ruoli chiave sono rimasti gli stessi personaggi di sempre), non vediamo stravolgimenti nella Lega di Maroni. E oltretutto, sarà ancora per il disorientamento per la vicenda Belsito (che ha travolto la famiglia Bossi e un mucchio di certezze), o anche per la ricerca di una nuova identità, questa Lega al momento appare appannata e ridimensionata.