Non si è ancora spenta la commozione per i 6 militari della "Folgore" vigliaccamente assassinati in Afghanistan. E nemmeno si sono placate le polemiche, in particolare alle dichiarazioni del ministro Umberto Bossi, che ha invocato il rientro immediato delle nostre truppe (salvo poi attenuare i toni). "Ho votato anche io. Eravamo convinti che servisse non certo a farli morire", queste le parole che hanno scatenato reazioni verso il leader della Lega, da parte sia di esponenti del governo che dell'opposizione. Addirittura c'è chi nella presa di posizione del ministro delle Riforme attribuisce una sorta di opportunismo demagogico per "lisciare il pelo all'opinione pubblica".
C'è da dire però che Umberto Bossi è da sempre il politico che meglio sa interpretare gli umori della gente comune. E ieri durante la cerimonia funebre, dalla folla partecipante giungevano in effetti richieste di "ritiro delle nostre truppe".
Pur non essendo mai stati teneri con Umberto Bossi, stavolta vogliamo assolverlo, perché riteniamo che dietro alla posizione da lui assunta non ci sia nessun calcolo politico-populista, ma soltanto una reazione umana: la preoccupazione e la pietà (magari suscitate dal terribile momento) per i nostri ragazzi che si trovano a migliaia di kilometri lontano da casa a rischiare la vita.
Questo non significa che condividiamo il suo pensiero per quanto riguarda la missione di pace in Afghanistan: tornare ora significherebbe abbandonare quella nazione e la sua gente ad un terribile destino. E' giusto quindi restare, ma la situazione è sicuramente cambiata da quando, appunto, si decise di inviare le truppe in quel paese, perché il clima di guerra si è inasprito e i nostri militari negli ultimi mesi si sono trovati spesso sotto attacco, una vera e proprio escalation che fino ad un anno fa non si era mai verificata.
Qualcosa deve essere dunque fatto, perlomeno a livello di strategia, intervenendo magari sull'ambiguo governo Karzai. E di questo se ne è accorto anche il Presidente USA Barack Obama.