Bologna, Roma, Milano. Sembra un bollettino di guerra. Ma purtroppo la realtà è questa: c'è una vera e propria emergenza nazionale nel campo della sicurezza e in particolare per la violenza contro le donne: vittime che si porteranno dietro il trauma per sempre.
Si è sbagliato a sottovalutare e si sta continuando a farlo. È evidente che prima di tutto c'è un problema di controllo del territorio in aree cruciali del Paese. La strada finora perseguita non ha dato risultati: il governo infatti, da un lato fa demagogia, dall'altro taglia i fondi alle forze dell'ordine. È indispensabile, invece, aumentare finanziamenti e risorse per le forze dell'ordine.
Inutile lanciare proposte populiste come la castrazione chimica: può essere un minimo deterrente, ma non è un rimedio. E' invece più importante prevenire, e per questo occorre un piano straordinario per il controllo del territorio a partire dalle città, rendendole vivibili (in particolare le periferie) e impegnando le forze di polizia, dotandole di mezzi e degli uomini necessari.
Altra cosa sbagliata è prendersela con i giudici quando i colpevoli di questi atti turpi vengono rilasciati con una certa "leggerezza".
Sono d'accordo: la certezza della pena è l’unica maniera per garantire una civile convivenza. Si fa confusione sul garantismo. Garantismo significa che tutti hanno il diritto di difendersi, devono cioè far valere i propri diritti alla difesa. Ma una volta condannati la pena va espiata altrimenti è inutile ed è una presa in giro (e l'esempio di Bologna è lampante in proposito: ma non era stato il governo a dirci che ora le espulsioni sarebbero state più facili?).
Però i magistrati non fanno altro che applicare la normativa vigente: se l’indagato collabora, non può più inquinare le prove e non dà l’impressione di voler fuggire o reiterare il reato commesso, non può essere sottoposto all’arresto cautelare in prigione. Per questo credo che il bersaglio delle proteste debba essere questa normativa, non il giudice che l’ha applicata. Stesso discorso per le condanne inflitte che si “sgonfiano”. E’ la legge a prevedere gli sconti di pena e i benefici - dalla libertà condizionale agli arresti domiciliari - che riducono gli anni da passare in prigione.
Si colpevolizzano i giudici, che possono sbagliare, ovvio, ma ad essere sbagliate sono innanzitutto le leggi: quelle che fa il legislatore, alla quale appartengono questi splendidi politici che prima si fanno leggi ad personam, dimezzano la prescrizione dei reati, approvano gli indulti, e poi è colpa dei magistrati se le suddette leggi vengono applicate.
D'altra parte per approfondire meglio questo argomento, il libro "Toghe rotte", scritto da Bruno Tinti, procuratore di Torino, può aiutare "il cittadino che abbia voglia di capire perché molte persone condannate per reati finanziari le ritroviamo coinvolte in scandali successivi; perché perfino i reati più comuni (rapine, estorsioni, sequestri di persona, omicidi) spesso sono commessi da gente che è già stata condannata per altri reati; perché il processo termina, nel 95% dei casi, con una sentenza di non doversi procedere per prescrizione. Per capire perché accade tutto questo, è necessario sapere che cosa succede nelle aule dei tribunali e come si lavora nelle Procure. Ecco un libro che finalmente lo racconta. Se si supera lo choc di queste testimonianze offerte da vari magistrati e avvocati, sarà poi più facile valutare le esternazioni in materia di giustizia che provengono dal politico di turno, di volta in volta imputato, legislatore, opinion maker, e spesso contemporaneamente tutte queste cose."