Battuto in tutti i ballottaggi, perse roccaforti storiche, nessun seggio in Val d'Aosta e nessun proprio sindaco alla guida dei capoluoghi della Sicilia, regione dove aveva quasi sempre dominato. Per il Pdl le ultime elezioni amministrative sono state una vera disfatta. Poi hanno voglia i dirigenti del partito a dire che è colpa dell'astensione (sì, ma chi l'ha provocata?), che "i sondaggi a livello nazionale ci danno in testa" (già, i sondaggi, di cui c'è proprio da fidarsi), che le amministrative contano meno delle politiche, che manca una presenza territoriale (che per un partito non è cosa da poco), e che comunque tutto è dipeso dal fatto che Berlusconi non è sceso in campo direttamente.
Sarà, ma intanto Silvio in campo è sceso eccome, con comizi e interventi in prima persona a Roma e Brescia (per esempio). E il fatto che la sua figura sia ormai immedesimata nell'immagine del partito, è un problema, non un vantaggio. Perché ormai la sua immagine non "tira" più come prima: a febbraio il Pdl ha perso più di 6 milioni di voti rispetto alle precedenti politiche. Ed è per una legge elettorale truffaldina che chi ha preso più voti (il PD) non ha potuto governare.
Parliamoci chiaro: Silvio è al declino, e trascina con sé il Pdl, una organizzazione che non è mai stata un partito, visto che la sua "politica" si è limitata agli interessi del proprio padrone. Un danno per l'Italia, perché significa che dopo Silvio occorrerà ricostruire una forza politica vera e propria di centrodestra che in questi ultimi 20 anni è mancata totalmente. E per rifarla, le soluzioni non saranno certo quelle di creare dei "berluschini" o rispolverare "il modello di partito-azienda", con "succursali ed amministratori delegati": occorrono competenze, ma soprattutto principi e ideali, che adesso non si vedono affatto.
(e se pensi che questi sono al governo e dettano l'agenda, ti rendi ancora più conto dell'inettitudine dei nostri dirigenti...)