I clandestini vanno espulsi anche se hanno figli minorenni che vanno a scuola in Italia.
E' questa la sentenza della Cassazione, che ha respinto il ricorso di un immigrato irregolare albanese residente a Busto Arsizio, con moglie in possesso di permesso di soggiorno, in attesa della cittadinanza italiana, e due figli minori, frequentanti la scuola. L'immigrato, facendo riferimento ad una precedente sentenza, sosteneva che la sua espulsione avrebbe provocato un trauma "affettivo" e un calo nel rendimento scolastico dei figli.
Un verdetto che non ci trova d'accordo, in quanto riteniamo sia gravissimo far prevalere le ragioni del respingimento condannando anche i figli insieme con i padri, e non è certo questo il modo di favorire l'integrazione. Ed è inumano separare i figli dal proprio padre, tenendo conto che la colpa di questa persona non è di aver commesso un delitto o un furto, ma di non avere le carte in regola: una questione quindi burocratica, di timbri e firme, simile a quella che il centrodestra in questi giorni minimizza o contesta per quanto riguarda l'esclusione delle sue liste.
Siamo d'accordo nel punire ed espellere chi viene in Italia per delinquere, ma crediamo che debba essere valutato diversamente chi invece vuole lavorare e farsi un futuro, e magari è residente da anni ed ha già la casa, e si ritrova clandestino, spesso e volentieri, perché non ha potuto regolarizzarsi non per colpa propria, ma a causa del datore di lavoro. Per non parlare poi di chi un lavoro lo aveva e in questa crisi l'ha perso improvvisamente dopo anni di sacrifici e di contributi pagati.
Distruggere una famiglia e l'equilibro affettivo di un bambino è intollerante.
Motivazioni, le nostre, che trovano anche sulla stessa linea organizzazioni come Onu e Unicef (Convenzione sui diritti dell'infanzia del 1989) ma anche la deputata del Pdl Souad Sbai.