Se non ci fossero di mezzo migliaia di posti di lavoro e famiglie sull'orlo della disperazione, troveremmo anche noi esilarante l'affermazione di Luca Montezemolo sul fatto che la Fiat non ha goduto di aiuti statali.
Non ci sarebbe bisogno di farlo, ma citiamo comunque lo studio effettuato in proposito dalla CGIA di Mestre, che ha calcolato, a favore di Fiat negli ultimi 3 anni, 270 milioni di euro di contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati.
Ha ragione il governo a contestare la cosa e a tentare di tutto (come pare) per salvare i posti di lavoro.
Il problema, però, secondo noi non si risolve con altri incentivi (tirati fuori senza una precisa logica e programmazione) o con altri fondi per ammortizzatori sociali, che danno vita solo ad assistenzialismo e non risolvono di certo il problema dell'occupazione (semmai lo rimandano). Si tratta invece di iniziare ad attuare quanto è mancato in oltre 30-40 anni qui in Italia: un piano indutriale produttivo. E la crisi in atto potrebbe essere l'occasione giusta per rivedere le tendenze fin qui seguite, riconvertendo aziende e, perché no, rinnovando anche i vertici dell'attuale classe imprenditoriale italiana, capace di andare avanti solo grazie ad un'economia chiusa che gli garantisce posizioni privilegiate. Perché sembrano ormai scomparsi quegli industriali come Olivetti, Pirelli, Agnelli (nonno) capaci di creare innovazione e posti di lavoro: al loro posto ci troviamo una casta di burocrati e faccendieri buoni solo a spremere e ricavare utili per se stessi.