"In piena recessione è evidente il rischio di una spaccatura sociale del paese che può alimentare pericolose derive anche di natura eversiva. Con il solo indennizzo per il lavoratore licenziato ingiustamente passerebbe un messaggio assai negativo quello che con un po' di denaro si ha la libertà di togliere illegittimamente il futuro alle persone".
"Il lavoratore non è una merce. Non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio. Ed è sSbagliato escludere la Cgil, quasi che il primo sindacato italiano per numero di iscritti non sia una cosa preziosa per una riforma del lavoro".
Per commentare la riforma del lavoro voluta (anzi, imposta) dal governo, ho scelto le opinioni non di politici o sindacalisti, ma rispettivamente di Enzo Letizia, segretario nazionale dell'associazione funzionari di polizia, e di monsignor Giancarlo Bregantini, capo-commissione Cei per il Lavoro.
Questo per fare intendere che i dubbi sono piuttosto generalizzati, e li hanno anche eminenti economisti.
Certo, nella riforma sono contenute novità positive in particolare quando si parla di riduzione della flessibilità in entrata, però, sinceramente, toccare adesso l'articolo 18 era davvero necessario? Soprattutto in un momento come questo in Italia, in piena recessione e con un'alta disoccupazione giovanile. E poi, la cosa ancora più sconcertante, è che si è voluto prendere come riferimento i modelli tedesco e/o scandinavo sulla questione licenziamenti ma senza la copertura di ammortizzatori sociali che questi sistemi garantiscono. Per dirla come Bersani "bisognava affrontarla alla tedesca, non alla americana", con il rischio che anziché la "paccata" promessa dalla Fornero, i lavoratori possono ritrovarsi un "pacco".
Ora si tenterà di correggere la norma in Parlamento: il governo non sembra avere questa intenzione, ma non sono solo PD e Cgil a chiederlo, visto che anche Cisl e altre componenti del mercato del lavoro si sono unite ale voci di dissenso. Speriamo perciò che ad essere flessibile sia alla fine proprio Monti.
Intanto la decantata crescita non si vede affatto: attenzione, perché andando avanti (o per meglio dire, indietro) di questo passo, le prossime lacrime del governo potrebbero essere di coccodrillo.