Organi espiantati, mammelle svuotate, arti tranciati... Non è la galleria di un film horror, ma l'incubo che attendeva i pazienti che entravano alla clinica Santa Rita di Milano. Operazioni di questo tipo sono usuali in una azienda ospedaliera: in questo caso però gli interventi erano inutili e non necessari, e non servivano a curare la gente, ma invece la si danneggiava, a volte, addirittura, forse anche ammazzava, per lucrare sui rimborsi regionali.
Dall'inchiesta svolta dai magistrati, grazie ALLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE ogni giorno emergono particolari sempre più raccapriccianti: pare infatti, se dovesse essere confermato l'impianto accusatorio, che il problema principale dei medici finiti sotto inchiesta fosse quello di avere, ad ogni costo, pazienti da operare; non importa di che, non importa come, e neppure di che cosa. L'importante era avere i rimborsi dalla Regione. Già, la Regione, il cui presidente Formigoni ha sempre parlato del sistema sanitario come di "modello da seguire". Ma è davvero così? Ad esempio, come è possibile che non siano stati fatti controlli relativi a quanto avveniva alla clinica Santa Rita, almeno basandosi sui rimborsi che venivano richiesti? Nell'inchiesta in corso, dodici finanzieri, assistiti dai periti del Tribunale, in un anno hanno esaminato poco meno della metà delle cartelle degli istituti clinici privati accreditati. Ma hanno già scoperto che nella regione che investe il 74 per cento del suo bilancio nella sanità, facendo dei centri privati il suo fiore all'occhiello, nessuno controlla dove va a finire quel miliardo e 200 milioni di euro all'anno erogato in rimborsi alle strutture accreditate. Ottantamila di quelle cartelle sarebbero state truccate, gonfiate, falsificate per ottenere rimborsi illeciti per almeno 18 milioni di euro.
Finiti a rimborsare asportazioni di nei pagati fino a 14 mila euro; interventi di chirurgia estetica su transessuali affetti da Hiv spacciati per interventi legati alle patologie indotte dal virus, a carico dalla Regione per 12 mila euro; presunte operazioni chirurgiche complesse addebitate per 50 mila euro, di fatto semplici interventi in day hospital. E poi esami eseguiti su pazienti ricoverati per tre giorni (il massimo della convenienza per una struttura accreditata) che si sarebbero potuti fare ambulatorialmente. Il trucco era semplice: bastava cambiare il codice numerico e il gioco era fatto. Insomma, falsificazioni talmente grossolane che oggi molti tra gli inquirenti si chiedono come mai nessuno se ne fosse accorto.
Sì, perché l'inchiesta non riguarda solo la clinica Santa Rita: altre cliniche di fama (circa una decina) sono sulla graticola della giustizia.
Ci sono quindi delle crepe nel sistema sanitario lombardo. Oltre ai mancati controlli, anche il metodo di rimborso delle prestazioni ospedaliere, che è quello che ha causato le mostruosità di Santa Rita: ogni ospedale viene infatti remunerato sulla base del valore della prestazione (esame diagnostico, intervento, terapia) per tipo di patologia, invece che per i giorni di ricovero. Può essere un ottimo strumento, perché azzera i tempi di ricovero inutile, mettendo fine al concetto dell'ospedale come "parcheggio". Tuttavia c'è un rovescio della medaglia: poiché esistono tabelle di riferimento ben precise per i rimborsi, può accadere che gli ospedali decidano i trattamenti per il paziente più sulla base di ciò che conviene economicamente che su quello che conviene alla guarigione del malato.
L'aggravante è che qualche chirurgo può sentirsi tentato a eseguire interventi non strettamente necessari per includere la prestazione nelle fatidiche tabelle. Ad esempio, nel campo del tumore al seno, succede che vengono operati noduli benigni che non hanno necessità di essere asportati; lo stesso succede per molte formazioni di natura benigna dell'utero o di altri organi.
In pratica, nella regione Lombardia, il modo più veloce di fare miliardi è mettersi a poppare dalla Sanità: in qualunque modo e senza scrupoli.
Altri dati che indicano che qualcosa non torna sono i numeri della sanità lombarda: forte disparità tra pubblico e privato nella riduzione dei posti letto, dato che il taglio dei posti letto interessa prevalentemente il pubblico; aumento sia della spesa sanitaria regionale sia di quella delle famiglie, aumento da imputare principalmente all’accreditamento e finanziamento di strutture private piuttosto che al potenziamento di quelle pubbliche, col conseguente carico sui cittadini.
Per non parlare poi dei criteri con cui erano selezionate le cliniche private per diventare convenzionate: venivano valutati fattori come professionalità, etica, i curricula del personale medico presente nell'istituto, le competenze dei titolari dell'azienda (che spesso non sono medici!), la percentuale di esiti favorevoli per i pazienti? Sarebbe allucinante se saltasse fuori che il criterio principale tenuto in considerazione non fosse uno di questi ma magari solo l'affiliazione a Compagnia delle Opere...
(post realizzato sulla base di materiale di "corriere.it" e "L'Espresso")